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Questo articolo vuole aprire una piccola finestra sulla concezione della Scienza in Cina dal punto di vista degli Occidentali, per dimostrare come il pensiero scientifico, seppure in modi e con metodi totalmente differenti, si sia sviluppato nei secoli in Cina, confermando quindi la Scienza come universale.
La storia della scienza, come si è formata negli ambienti accademici occidentali, ha da sempre riflettuto il senso di superiorità culturale tipico del colonialismo, al punto da costruire un’immagine della scienza come attività unicamente occidentale. Queste convinzioni evidenziano però il concetto di scienza come termine univoco e tengono conto non della conoscenza in quanto tale, ma del metodo necessario, in occidente, per acquisirla. Essendo questo di derivazione greca, l’antica Grecia è divenuta unico possibile modello scientifico per gli occidentali.
Nel contempo, si pensava che la Cina, come gli altri popoli non europei, pur giungendo sporadicamente ad effettuare interessanti osservazioni sul mondo naturale, fosse stata priva di strumenti logici indispensabili per generare la “vera” scienza.
Questa opinione è stata sostenuta anche nel corso del Novecento da molti storici e scienziati i quali hanno affermato che sebbene ogni grande civiltà produca le proprie forme di arte e scienza, queste sono così strettamente legate alle rispettive culture da non poter essere trasmesse oltre i loro confini. L’unica eccezione ammessa era l’occidente, che ha prodotto la sola forma universalmente valida e comunicabile di scienza. Da questa prospettiva non è possibile scrivere una storia della scienza in Cina, ma solamente una storia della scienza cinese, ovvero una storia delle idee cinesi sulla natura, il funzionamento e le relazioni del mondo naturale illustrate in quanto parte di un sistema di pensiero unicamente cinese, lontano dalle realtà universali del mondo materiale che formano oggi la scienza moderna.
Contrariamente a questa analisi, è oggi ampiamente riconosciuto che le idee scientifiche si sviluppino ovunque, che possano essere trasmesse da una cultura all’altra e che alla nascita della scienza abbiano contribuito diversi percorsi intellettuali avviatisi in molte parti del mondo.
Questa rappresentazione, tuttavia, ha iniziato a diffondersi solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto grazie all’opera di Joseph Needham (1900 – 1995), che nei suoi scritti ha dimostrato l’impossibilità di scrivere un’autentica storia della scienza senza tenere conto del contributo cinese. Questo scienziato, dopo la conoscenza di tre validi ricercatori cinesi nel laboratorio di biochimica a Cambridge, dove egli stesso lavorava, si appassionò al paradosso cinese: sebbene questo popolo fosse sempre stato dipinto come estraneo alla scienza, testi e trattati della Cina antica contenevano diverse idee scientifiche; di conseguenza Needham fu in grado di denunciare la visione distorta della Cina che regnava negli ambienti scientifici. L’opera più importante di questo illustre studioso sull’argomento è probabilmente: Scienza e civiltà in Cina; in questa sorta di enciclopedia egli propone l’analisi delle materie trattate, tutte esclusivamente sviluppatesi in Cina nell’arco di secoli, mutuando l’impostazione tipica occidentale.
Quando la Cina dovette quindi confrontarsi con l’avvento della scienza occidentale, all’inizio del Novecento, solo in parte fu colta di sorpresa. Infatti quando divenne evidente “la debolezza del mondo cinese di fronte agli aspetti dell’occidente” e quando si impose “la necessità di porsi sulla via di uno sviluppo tecnico industriale”, non mancò quindi anche “l’apprezzamento della scienza e della tecnica occidentale per i servizi pratici che esse introducono”.1
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