Protocollo di Kyoto ed inquinamento

Scarichi all'aperto in centro città
Scarichi all’aperto in centro città ed…il simpatico cartello accompagnatorio

Non serve una conoscenza troppo profonda dell’assetto organizzativo cinese  per avere chiaro che l’ambiente sta attualmente sopportando un impatto sproporzionato, a causa della deforestazione, conseguenza della continua crescita urbana che, stimata al 30% (400 milioni di persone) durante gli anni Novanta, è passata ad oltre il 36% in circa un ventennio, con un incremento annuo costante di 8 o 9 milioni di unità.

Il terreno del paese di mezzo è inoltre ricco di giacimenti di carbone, e quindi oggetto di continue operazioni di estrazione mineraria; la Cina non ha petrolio nel suo territorio e per ovviare al problema, oltre ad acquistarlo all’estero (prevalentemente in Africa) preferisce estrarre il minerale da impiegare nei processi produttivi.

L’economia, utilizzando quasi esclusivamente energie non rinnovabili, inquina pesantemente l’atmosfera con cospicue emissioni di anidride carbonica e solforosa.

La nazione non è comunque interessata né disponibile ad impegnarsi in politiche di protezione ambientale, definendo impossibile per il paese assumersi responsabilità internazionali di tutela e rispetto dell’ambiente in quanto il suo obiettivo primario è quello di alzare gli standard di qualità della vita e gli stipendi della popolazione cinese, attraverso la crescita economica.

L’unica azione che la Cina ha  fatto per contenere l’inquinamento è stato quello di ratificare il protocollo di Kyōto, ma non è tenuta a ridurre alcun livello di emissioni benché i suoi livelli di consumo energetico crescano esponenzialmente; la nazione è esonerata dagli obblighi del protocollo perché non è stata tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico.

Il paese ha inoltre adottato linee guida ambientali proprie, di cui non ha reso noti i contenuti (e che dovrebbero essere messe in atto dalla ExIm Bank of China, l’agenzia di credito all’esportazione cinese creata nel 1994), piuttosto che adeguarsi alle normative Ocse.

Se l’attuazione di politiche globali con l’obiettivo di raggiungere uno sviluppo sostenibile sono ostacolate dalla divaricazione sempre maggiore tra esigenze economiche e interesse per la tutela ambientale, questo rispecchia perfettamente la realtà cinese, la cui politica  ambientale è consistita nella dislocazione di tecnologie obsolete ed energivore, nello sfruttamento del carbone, perché disponibile in abbondanza sul territorio cinese e nel sacrificio delle risorse naturali, mentre si caratterizza oggi per una maggiore considerazione “retorica” dei valori ambientali, pur continuando ad evitare iniziative concrete.

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Pubblicato da cinesespresso

Amante della Cina e di tutto quello che la riguarda dal 2005.