Nonostante la Cina abbia cambiato più volte la propria organizzazione interna dagli anni della rivoluzione in avanti, ora pare ingabbiata in una struttura comunista monolitica, con il rischio di implosione. Le scelte che sono state compiute negli ultimi trent’anni puntano tutte verso un consolidamento del potere politico tramite scrupoloso controllo delle masse ed un contemporaneo (ed ai nostri occhi occidentali, contrapposto) consumismo spregiudicatamente incentivato.
All’inizio del 1980, il partito comunista cinese sotto la potente influenza di Deng Xiaoping, dopo aver neutralizzato l’estrema sinistra, era pronto per una svolta rispetto all’indirizzo rigido e puramente collettivista delle politiche di Mao Zedong (conosciuto in occidente come Mao Tse-Tung); nelle campagne erano state approntate alcune riforme per agevolare la popolazione rurale, mentre per il settore secondario rimaneva in vigore il divieto per le imprese di aprirsi ai meccanismi di mercato e di beneficiare dell’iniziativa privata.
Ciò che Deng Xiaoping desiderava erano le cosiddette “quattro modernizzazioni”:
1. agricoltura,
2. industria,
3. scienza e tecnologia,
4. difesa nazionale.
I problemi si concentravano prevalentemente nel comparto industriale, le cui imprese pubbliche necessitavano per prima cosa più flessibili ed efficaci criteri di gestione, per appianare le perdite e liberarle da vincoli burocratici. Anche il sistema bancario necessitava di revisioni, perché gravato da un enorme portafoglio di prestiti non redditizi accordati al settore secondario. L’agricoltura, oltretutto, presentava diversi problemi strutturali. Si rendeva quindi fortemente necessaria una modifica del sistema finanziario, perché le imprese statali, abbondantemente improduttive, ricevevano troppe sovvenzioni dalle banche e dallo stato, con pesanti ripercussioni sul bilancio nazionale. Per questi motivi, la dirigenza del partito si dichiarò ufficialmente favorevole ad un sistema ad economia mista.
Dopo l’incremento del reddito dei contadini avvenuto negli anni Ottanta, in seguito al ritorno a una produzione in larga parte a base familiare e non più incentrata sulle comuni e sulle aziende collettive, la popolazione rurale aveva risentito delle conseguenze del crescente trasferimento di mezzi e investimenti verso le aree urbane ed era di nuovo aumentato il divario fra contadini ed impiegati nel settore secondario e nel terziario.
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