Gli stati in via di sviluppo che hanno visto una rapida crescita al loro interno hanno indissolubilmente legato le loro economie al mercato globale, attraverso i flussi di investimenti stranieri (Foreign Direct Investments, anche chiamati FDIs) ed hanno sfruttato lo sviluppo tecnologico, cavalcandone l’onda.
Una prova è il reddito cinese, il quale, nei vent’ anni che vanno dal 1980 al 2000 è cresciuto ad un tasso annuo del 10% circa.
Tra la fine degli anni settanta ed il 2003 il Prodotto Interno Lordo si è moltiplicato di ben nove volte e nello stesso 2003 la Cina è diventata la nazione con il più consistente flusso di FDIs al mondo, sorpassando per la prima volta l’America.
Attualmente (2011), il flusso di investimenti ha iniziato ad andare in senso opposto, ovvero non più dai paesi industrializzati verso la Cina ma dalla Cina verso l’estero, e sta anche sperimentando una continua crescita, dato che la crisi in atto ha fornito alle imprese cinesi una conveniente opportunità per espandersi ed investire all’estero a prezzi relativamente competitivi.
Da gennaio a giugno, gli investimenti cinesi all’estero (Outbound Direct Investments, da qui in poi ODI) in settori non finanziari, con $17,84 miliardi, sono cresciuti del 43,9% su base annua, 22,4% di questa somma è stata destinata ad acquisizioni o fusioni.
Un ulteriore flusso di ODI cinesi si sta dirigendo da un paio d’anni a questa parte e continuerà presumibilmente a dirigersi verso la UE, tenuto anche in considerazione il fatto che nella prima metà del 2010 gli investimenti cinesi in Europa sono aumentati del 107% su base annua. Un esempio è l’acquisto da parte di Geely Holding Group, multinazionale cinese con sede ad Hangzhou, del gruppo Volvo nell’agosto 2010.
Ciò che Geely ha acquistato non è soltanto una azienda, ma un brand con una sua storia ed un team di esperti professionisti, che fungeranno per l’impresa cinese da insegnanti, e proprio qui risiede il vero valore aggiunto dell’acquisizione.
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