La Giustizia nella Cina imperiale

Un albero-portafortuna davanti ad un tempio Confuciano riempito di bigliettini beneauguranti, a Foshan, nel Guangdong

Come già visto nei post precedenti, la giustizia è ora rigidamente regolata in Cina, e la pena di morte viene con convinzione mantenuta come estrema arma deterrente; è quindi lecito domandarsi se, anche nella Cina pre-comunista, la situazione era la stessa.

La risposta non può che partire, ancora una volta, dall’ideologia Confuciana che, da quando riuscì ad imporsi come religione ufficiale, favorì lo sviluppo di regole rigide e gerarchizzate che definivano quali comportamenti sociali adottare e che erano volte a mantenere l’equilibrio tra le diverse classi; equilibrio necessario per garantire l’ordine cosmico, perché secondo il confucianesimo “quello che sta in alto è uguale a quello che sta in basso”.

[banner size=”120X600″ align=”alignleft” background=”D9FFFF”]Con il Confucianesimo si formò una concezione di giustizia come strumento per mantenere equità tra le parti, per cui, una volta avvenuto un misfatto, il colpevole doveva impegnarsi in un atto riparatore per riportare l’equilibrio spezzato dall’ingiustizia subita da una delle parti, mentra l’autorità, garante dell’ordine, non doveva mai abusare del proprio potere, concedendo parità di diritti ai sudditi. A partire dai primi del 1900 questo approccio culturale, che permane ancora oggi nella mentalità giuridica cinese, sarà poi in grado di mettere in discussione il sistema “Occidentale” del diritto, che si tentò di “importare” sia dal Giappone che dalle potenze occidentali.

I “li” (riti), ritenuti legge, venivano trasmessi oralmente, perché la scrittura veniva vista, già al tempo di Confucio, come un metodo barbaro, proprio di popoli incivili, incapaci di autocontrollo e di comprendere la trasmissione orale.

Le strutture giuridiche non-statali erano espressione di poteri locali ed operavano separatamente rispetto l’apparato statale. 

È facile capire perché godessero di così tanta diffusione, popolarità e rispetto se si pensa che in Cina un giudice di primo grado i materia civile e penale governava circa 200 – 250.000 abitanti; il potere centrale era in effetti ben poco presente e ad esso si sostituivano, a seconda del contesto sociale, corporazioni, villaggi, clan o famiglie, che formavano comunità interne, semi-autonome e fedeli al codice Confuciano.

Il modus operandi di questi intermediari era di tipo conciliativo ed il buonsenso doveva prevalere: una volta perpetrata un’ingiustizia la parte colpevole poteva ristabilire l’equilibrio rotto tramite un atto pubblico, porgendo le sue pubbliche scuse alla parte lesa, oppure con un atto riparatore in grado di garantire un riscatto morale del colpevole agli occhi della comunità.

Perciò, si parla anche di “Third Realm of Justice” in Cina, dato che la giustizia veniva gestita contemporaneamente da entità sia statali che locali non ufficiali, situandosi in un’area intermedia e non ben definita.

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Pubblicato da cinesespresso

Amante della Cina e di tutto quello che la riguarda dal 2005.