Cambiamenti nelle politiche economiche della Cina

Politiche economiche della Cina previste ed attuate - Foto di Julien Tromeur da Pixabay
Politiche economiche della Cina, previste ed attuate – Foto di Julien Tromeur da Pixabay

Riforme politiche economiche

Al 3° Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese nel 2013, le autorità hanno annunciato ulteriori riforme del mercato all’interno del modello di capitalismo di stato dell’economia cinese. Le nuove politiche economiche della Cina avrebbero dovuto includere un maggiore accesso al mercato per le società straniere, la ristrutturazione delle imprese statali e l’apertura del settore finanziario. Il cambiamento nella politica socio-economica mirava a far sì che la Cina raggiungesse lo status di “società moderatamente prospera” entro il 2021, il 100° anniversario dell’istituzione del PCC. In generale, l’economia cinese avrebbe dovuto essere basata sulle “forze di mercato” e il ruolo dello stato doveva essere limitato.

Obiettivi e risultati delle politiche economiche

L’obiettivo principale delle politiche economiche della Cina non è un alto tasso di crescita del PIL (il quale, nel periodo 1979-2019, è cresciuto ad un ritmo superiore al 9% in media all’anno), ma un fattore di “qualità”: uno sviluppo più equilibrato e inclusivo, basato non su esportazioni e investimenti come in passato, ma su consumi interni e innovazione. Inoltre, le riforme economiche dal lato dell’offerta hanno da sempre avuto l’obiettivo di razionalizzare la produzione per renderla economicamente più sostenibile. I leader cinesi hanno definito questa politica la “nuova normalità”. Tuttavia, in realtà non è andata proprio così. La Cina ha continuato a condurre una politica di apertura selettiva del proprio mercato, un esempio è quello del settore dei servizi finanziari o assicurativi, mantenendo chiusi settori strategici, come l’energia, l’istruzione o le telecomunicazioni. Inoltre, le riforme del mercato sono state attuate solo in parte, e in alcune aree addirittura annullate. La mancanza di progressi significativi nell’attuazione delle riforme economiche le ha rese dunque meno credibili. Un simile risultato è unicamente dovuto al desiderio del Partito Comunista Cinese (il PCC, nella sua forma abbreviata) di continuare a controllare l’economia per fornire una maggiore stabilità sociale. Per esempio, ciò è successo con l’intervento del governo nei ribassi delle borse nel 2015-2016 o della limitazione dei deflussi di investimenti negli ultimi anni volti a rilanciare l’attività economica in Cina. Dal 2013, la presa del PCC sul processo decisionale economico si è rafforzata e il ruolo personale di Xi Jinping al suo interno è aumentato, come abbiamo visto in precedenza.

L’intervento del PCC sull’economia nazionale

Nel settembre 2020, il Comitato centrale del PCC ha chiesto persino di rafforzare il controllo del partito sul settore privato. Il cambio nelle politiche economiche della Cina è stato lapalissiano agli occhi del mondo quando le autorità di regolamentazione hanno bloccato l’IPO di Ant Group. Ciò ha sollevato preoccupazioni da parte di tutte le aziende private, straniere e non, operanti nel paese. La politica economica, ma anche il rallentamento della crescita economica, l’aumento del costo del lavoro, il parziale ritiro dalla globalizzazione, nonché le tensioni commerciali e tecnologiche con gli Stati Uniti, hanno influenzato l’afflusso di capitali stranieri verso la Cina. Nondimeno, la reazione delle autorità cinesi al rallentamento economico causato dalla pandemia di COVID-19, compresi gli stimoli fiscali e il sostegno alle imprese, hanno reso il ruolo dello Stato ancora più significativo e l’introduzione di riforme di mercato molto più difficile.

Le attese per le politiche economiche nel futuro

Nei prossimi anni, la Cina si concentrerà ancora di più sul proprio mercato interno. Al 5° Plenum del 19° Comitato Centrale del PCC nell’ottobre 2020 è stata confermata la volontà della dirigenza che tiene le redini del paese di perseguire la strategia di “doppia circolazione”. La strategia consisterebbe nella creazione di una catena di produzione, distribuzione e consumo interna ed autonoma, che svolgerà un ruolo dominante nell’economia. Questa deve essere sostenuta dalla “circolazione internazionale”, che sembra prevedere un maggiore accesso al mercato cinese per le imprese straniere che possono contribuire a rafforzare l’economia cinese o gli interessi dello Stato, soprattutto nel settore dell’alta tecnologia. Sicuramente le aziende straniere interessate al mercato cinese potranno avere maggiori opportunità commerciali nel paese, mentre i vincoli burocratici per esportatori e investitori cinesi dovrebbero essere semplificati. La “doppia circolazione” sarà anche una parte cruciale del 14° piano quinquennale 2021-2025. La tendenza a concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del mercato interno è stata accelerata dagli effetti della pandemia di COVID-19, legati al calo del commercio mondiale e alle perturbazioni delle catene mondiali del valore. Ciò intensificherebbe gli sforzi della Cina per essere più autosufficiente, soprattutto nel settore tecnologico (ad esempio, attraverso l’attuazione della strategia “Made in China 2025”), a questo proposito, la Cina è stata la prima nazione al mondo a legiferare in materia di intelligenza artificiale generativa e del suo sviluppo, tema molto interessante, che approfondiremo in un prossimo articolo.

Pubblicato da cinesespresso

Amante della Cina e di tutto quello che la riguarda dal 2005.